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18/08/2019 DOMENICA Il Sole 24 Ore Il Sole 24 Ore domenica 18 AGOSTO 2019 Patrizia Valduga «Lo so non sono quartine, io mi edifico sulle mie rovine» Raramente nel campo della poesia odierna – e quella italiana in particolare – capita di imbattersi in testi che paiano scritti per essere voracemente letti: letti speditamente, intendo, pagina dopo pagina, correndo e rallentando come si fa con certi romanzi, ridendo o più spesso ghignando, annuendo convinti ad ogni tratto del dito sulla carta; sfogliando un volume dall’inizio alla fine per l’impossibilità di fermarsi, con un pezzo che tira l’altro senza che l’occhio riesca a staccarsene. Dammene un’altra. E un’altra. Di corsa. Ecco, una simile lettura è quella che credo sia presupposta o attesa da un libro come Belluno, ultima silloge poetica (o poemetto?) di Patrizia Valduga, che s’incentra sul luogo – la città alpina che la maggior parte degl’italiani non ha mai visto e che molti immaginano talmente lontana da trovarsi quasi ai confini della realtà – in cui Valduga trascorre un breve periodo d’estate da molti anni. Un luogo familiare all’autrice, insomma, ma anche eccezionale e strano per la sua natura di destinazione vacanziera (peraltro insolita, vista l’abbondanza di località propriamente turistiche nel circondario). Un luogo interiore, più ancora che una città. A propiziare la serialità compulsiva della lettura è, certo, la veste metrica. Espertissima, come è noto, nel recupero di forme della tradizione poetica italiana, di cui ha negli anni disseppellito vari insueti contenitori, versandovi sempre il liquido di una lingua ricca e vitale, Valduga ritenta qui uno dei suoi esperimenti. I pezzi di Belluno sono sequenze di quattro versi dall’aria estremamente familiare (settenari o endecasillabi, di norma perfetti), con rime – vere rime – variamente disposte per secondare effetti epigrammatici. Vietato chiamarle quartine, e l’autrice lo sa, e lo ricorda – col tono che è suo – ai malevoli lettori contro i quali scaglia uno dei suoi tetrastici: «Vi sento: – Non sa più quello che fa! / Sì che lo so che non sono quartine: / io mi concedo qualche libertà, / io mi edifico sulle mie rovine». L’esempio valga a documentare un tono generale, un’atmosfera che per essere meglio definita va integrata con l’insistente filigrana poetica, musicale e ideologica data dai continui rinvii ai libretti mozartiani di Da Ponte, di cui citazioni o paracitazioni spuntano a più riprese, ben intonandosi con l’ambiente (visto che Emanuele Conegliano non era nato troppo lontano da qui): «Andiam, andiam, mio bene, / a ristorar le pene… / mentre corre la luna / sopra la Valbelluna», o ancora «La povera ragazza / è pazza, amici miei: / lasciatemi con lei, / la porto al bar in https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190818&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 1/2 18/08/2019 Il Sole 24 Ore piazza», che è rifacimento a ben vedere geniale. Ma lo sfondo bellunese (o bellumat(t)o, come direbbero in situ) agisce anche – e forse soprattutto – nelle sue potenzialità linguistiche quasi esotiche: quelle che permettono di inanellare interi tetrastici accumulando la toponomastica stralunata di queste parti: «Val del Mis, Val del Mas, / Val del Mus… Sass Sbregà. / Sass da Mur, Scalabràs… / Basta! Me só stufà» (e ci sono vari altri simili montaggi, tutti giocati sull’evocazione di nomi di luogo). Non pare, ma sono versi amari, quelli di Patrizia Valduga. Versi veri, che castigant ridendo mores, per cui tra una non-quartina e l’altra si parla anche dello sfascio presente, dell’indifferenza, del dolore, dell’ingravescente età. Castigano, e lo fanno in un modo finalmente diverso dal blabla in cui siamo immersi, e di cui siamo produttori incessanti, noi della razza di chi non scrive versi. @lorenzotomasin © RIPRODUZIONE RISERVATA «Belluno. Andantino e grande fuga» Patrizia Valduga, Torino, Einaudi, pagg. 128, € 14,50. Lorenzo Tomasin https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190818&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 2/2