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02/06/2019 DOMENICA Il Sole 24 Ore Il Sole 24 Ore domenica 02 GIUGNO 2019 Bilancio. Accelerazione e sovrapproduzione minacciano la narrativa, prodotta industrialmente e stereotipata da un editing molto invasivo. Come contrastare la deriva Il romanzo fatto in serie L’opera letteraria – e in particolare quella destinata a più ampia diffusione, cioè tipicamente il prodotto di prosa narrativa, il romanzo – è divenuta da lungo tempo un articolo commerciale a pieno titolo, che ha ormai in buona parte perduto i connotati della realizzazione puntuale e propriamente artistica per accostarsi, anche nelle sue forme più raffinate, a quelli tipici del prodotto seriale e industriale. Il fatto è ben noto: a imporlo sono gli stessi modi, tempi, ritmi della società del consumo, divenuti tra l’altro sempre più frenetici per il fenomeno di accelerazione e di sovrapproduzione a cui si assiste anche in tanti altri ambiti (qualcuno, anzi, tra gli intendenti tenta di attribuire proprio a questo fenomeno la responsabilità seminale di quasi tutti i malanni economico-finanziari attuali). Sebbene non sia affatto una novità, il caso in cui sia l’editore stesso a sollecitare più o meno direttamente l’autore – specie se si tratta di persona già dotata di un pubblico di riferimento – a produrre pagine da stampare diviene sempre più frequente: sintomo appunto di un processo d’accelerazione cui s’accompagnano pratiche di editing sempre più invasive. Una delle conseguenze è una inevitabile tendenza alla serialità omologata, cioè a quella standardizzazione cui inevitabilmente conduce ogni processo industriale. Così, raccontare a ritmo di un certo numero di libri ogni certo numero di anni (o addirittura mesi!) storie vere o altamente verosimili in una lingua gradevolmente normalizzata sembra essere l’intento primario non solo della letteratura apertamente disimpegnata, ma di una quantità di scrittori che rivendicano una qualche forma di ricerca. Essi spingono spesso la narrativa in direzioni che forse non le sono specifiche, e che oggi altri tipi di scrittura – dalla poesia alla saggistica al giornalismo – sanno svolgere probabilmente in modo più efficace. Un pubblico a sua volta allargato e sempre meno selettivo offre comunque la possibilità di una audience di riferimento, cioè di una nicchia di mercato. Questa modalità narrativa sembra essere la presupposta intelaiatura cui è lecito attaccare messaggi, stimoli o esperienze di varia natura, ma sostanzialmente intercambiabili. Il romanzo così concepito sembra a volte funzionare come una sorta di materiale preparatorio a una sceneggiatura: un testo pronto ad essere tradotto in un film in cui esso sembra cercare, sempre più spesso, la propria consacrazione. https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190602&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 1/3 02/06/2019 Il Sole 24 Ore Si tratta insomma di una formula d’intrattenimento letterario molto ritualizzata, che non ostante tutto funziona, e quindi continua a vendere, ma in un contesto nel quale allo scrittore è concesso lo spazio che spetta all’ininfluente confezionatore di un prodotto di consumo tra tanti, e in cui i confini tra impegno letterario e finalità commerciale si fanno sempre più evanescenti. Non mancano, tuttavia, i segnali di consapevolezza di questa potenziale ripetitività. E non mancano, quindi, gli antidoti. La narrativa italiana di oggi mi pare cercarli in varie direzioni. Due mi sembrano particolarmente felici. Da un lato, alcuni autori si sforzano di fracassare gli stampi linguistici che l’italiano ha faticosamente costruito negli ultimi due secoli (e così facendo ha edificato intorno a sé una sorta di prigione, di gabbia costrittiva). Questi autori scelgono di esprimersi in una lingua radicalmente diversa dall’italiano stanco – che resta tale ormai in quasi tutti i suoi registri, compresi quelli del colloquio e di un turpiloquio standardizzato – cui sembra condannata una scrittura in prosa divenuta trasversale a generi e fini. Se a lungo lo sforzo maggiore dei prosatori italiani è stato quello di far convergere la linea della scrittura con quella della lingua parlata, realizzando un connubio per l’addietro impossibile nella storia nazionale, una volta incontratesi le due linee devono sforzarsi nuovamente di divergere per liberare la scrittura dal giogo della normalità. Altri sovvertono le convenzioni standard della narrativa attuale proponendo formule alternative rispetto a quella della vicenda vera o verosimile. Parlano insomma di un mondo decisamente altro, normalmente nel senso di stravolto e surreale, rispetto a quello condiviso col loro lettore. Si ingegnano di portarlo in un altrove straniante, e pur variamente inteso, ma comunque intraducibile nella rassicurante formuletta di cui sopra. Sebbene a praticare queste due forme d’eversione sia una minoranza piuttosto esigua, l’intraprendenza non è – ovviamente – una garanzia di efficacia, ed espone anzi a infortuni letterari anche più gravi di quelli che rischia il frequentatore dei soliti giri narrativi. Le scorciatoie insoddisfacenti abbondano, anzi, quando si cerchi lo scarto dalla normalità uscendo – diremo per brevità – dall’italiano, o uscendo – in un modo o nell’altro – dalla realtà, e da quella presente in particolare. Il rischio del puro gioco linguistico fine a sé stesso da un lato, e dell’accesso alla vacua fantasticheria dall’altro (è la «tentazione del meraviglioso» di cui ha parlato, per metterne giustamente in guardia, Gianluigi Simonetti) sono sempre in agguato. Nell’una e nell’altra direzione, in effetti, serve forse – provo a indovinare, da profano – non nutrirsi solo del pastone mediatico presentista di cui ci bombardano media, reti sociali e altri detonatori del rumore di fondo, da cui anche molti scrittori paiono ormai frastornati. Servono – oltre al talento, certo –, silenzio, tempi distesi, lentezza, accuratezza, lettura ravvicinata. Parrebbe ovvio. Ma è in contraddizione con i ritmi industriali di cui sopra. https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190602&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 2/3 02/06/2019 Il Sole 24 Ore Nell’una o nell’altra direzione (nonché nell’una e nell’altra simultaneamente, come pure alcuni si arrischiano a fare) c’è spazio, forse, per una uscita dalle secche che giusto un anno fa capitava di indicare tra queste pagine, allora come oggi in occasione della selezione della cinquina del Premio «Campiello». Si parlava, là, di della mancanza di stile, di tendenza appunto omologante e di prevalere della quantità sulla qualità. Qualcuno reagì lamentando – a ragione, forse – un eccesso destruens della requisitoria. Quelle che si è qui cercato di intravvedere nel mare magnum della produzione sono solo due delle molte possibili vie d’uscita. @LorenzoTomasin © RIPRODUZIONE RISERVATA Lorenzo Tomasin https://www.quotidiano.ilsole24ore.com/sfoglio/aviator.php?newspaper=S24&issue=20190602&edition=SOLE&startpage=1&displaypages=1 3/3