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16/02/2022 13:10 L’italiano che cambia. Da sempre L’italiano che cambia. Da sempre Intervista a Lorenzo Tomasin, venerdì a Locarno per discutere di lingua e globalizzazione laRegione · 16 feb 2022 · 20 · Di Ivo Silvestro Globalizzazione e lingua italiana: il tema dell’incontro organizzato dal Club Plinio Verda – venerdì alle 18 alla Biblioteca cantonale di Locarno – evoca subito l’immagine di un assedio linguistico con anglicismi, social media e politicamente corretto minacciare l’italiano. Un’immagine che certamente testimonia una preoccupazione di usa, ma che non cattura appieno la realtà come ci ha spiegato Lorenzo Tomasin, professore di Storia della lingua italiana all’Università di Losanna che venerdì discuterà del tema con il linguista Alessio Petralli. La lingua italiana ha storicamente mostrato una certa stabilità: dopo sette secoli leggiamo abbastanza facilmente Dante, mentre testi francesi o inglesi anche più recenti mettono in di coltà un madrelingua… È vero solo in parte. La lingua letteraria italiana, soprattutto quella dei poeti, è stata molto stabile nel tempo perché legata a modelli antichi. Una circostanza che a un certo punto è stata anche percepita come un limite dell’italiano. Tuttavia non mi sentirei di dire che l’italiano sia sempre rimasto fermo. E di conseguenza non mi sento neanche di dire che negli ultimi anni abbia iniziato a correre. L’impressione però è di un rapido cambiamento. Ma è un’impressione che si è ripresentata a più riprese nella storia dell’italiano. È già capitato che gli osservatori, cioè le persone che parlano italiano, avessero l’impressione che la loro lingua si fosse messa a correre e soprattutto che si importassero troppo rapidamente e disordinatamente elementi stranieri: è ad esempio accaduto durante il Settecento quando la pressione del francese è stata sentita da molti come un rischio per la sopravvivenza https://www.pressreader.com/switzerland/laregione/20220216/page/20/textview 1/3 16/02/2022 13:10 L’italiano che cambia. Da sempre dell’identità e della riconoscibilità dell’italiano. Trecento anni dopo possiamo dire che il mutamento non fu così drammatico come sembrava, ma il mutamento ci fu come c’è sempre stato: l’italiano si è sempre mosso, anche se magari in alcuni settore sì e altri no. Come il caso, al quale abbiamo già accennato, della lingua poetica. Sì ma attenzione: il motivo per cui l’italiano di Dante ci sembra così simile al nostro è che sono rimasti molto stabili alcuni aspetti della lingua come la fonetica e la morfologia. Tuttavia se quella che potremmo de nire “la grammatica” è rimasta stabile, molte parole hanno cambiato signi cato. Noi non ce ne rendiamo conto perché le vediamo uguali e ci suonano familiari, ma ad esempio ai tempi di Dante ‘ragionare’ signi cava qualcosa di simile al nostro ‘chiacchierare’. Non stiamo quindi assistendo a un’accelerazione? Secondo me no: l’italiano sta cambiando come è sempre cambiato, anche se con modalità di erenti rispetto al Cinquecento o al Settencento, perché non esistono ripetizioni nella vita delle lingue. Che cosa caratterizza la fase attuale? Innanzitutto una maggiore orizzontalità e condivisione della lingua tra i parlanti: nella comunità di chi oggi usa l’italiano si fatica a rintracciare una gerarchia con dei parlanti più autorevoli e capaci di in uenzare gli altri e una base che invece partecipa solo passivamente al mutamento della lingua. Questa orizzontalità è dovuta evidentemente alla struttura della società, ma anche ai mezzi in cui l’italiano, e le altre lingue, circolano: la rete con il suo interscambio frenetico che tra l’altro avviene per scritto, e questo quando no a pochi anni fa si dava per morta la scrittura. Questo potrebbe avere e etti sulla rapidità dei cambiamenti ma spesso è una rapidità apparente che riguarda mutamenti e meri che si esauriscono in fretta perché riguardano solo la super cie ma non toccano il nucleo dell’italiano. Insomma, la lingua la fanno i parlanti. Questo è sempre stato vero ma ci sono stati, nei diversi momenti della storia e nelle diverse lingue, delle entità che erano dei punti di riferimento: pensiamo alle corti reali o alle accademie. Oggi questa verticalità si è indebolita. Va detto che rispetto alle altre lingue europee l’italiano ha storicamente avuto una maggiore libertà, visto che per lungo tempo non c’è stata una corte reale e neanche una capitale, inoltre l’Accademia della crusca ha un ruolo diverso dalle istituzioni analoghe di altri Paesi. Questo aspetto, che la lingua la facciano i parlanti, spesso è assente nel dibattito sul linguaggio inclusivo, quando si invoca, o si teme, un ‘intervento dall’alto’. Quando si parla di inclusività, e in generale di rivendicazioni legate agli aspetti più politici della lingua, occorre secondo me fare una distinzione importante. Da una parte ci sono i mutamenti che riguardano le parole: il lessico è in una certa misura sotto il nostro controllo perché ognuno di noi sceglie quali parole usare e quali non usare, soprattutto quando scrive. Per cui è possibile decidere, ad esempio, che quello che abbiamo sempre chiamato ‘spazzino’ da oggi si chiama ‘operatore ecologico’ e una autorità politica può anche decidere che in tutti i documenti u ciali si scriverà ‘operatore ecologico’ invece di ‘spazzino’. Alla ne il successo lo stabiliranno i parlanti, ma su questi aspetti è possibile prendere delle decisioni consapevoli. Quello che invece mi lascia perplesso è che oggi si sente parlare https://www.pressreader.com/switzerland/laregione/20220216/page/20/textview 2/3 16/02/2022 13:10 L’italiano che cambia. Da sempre spesso di modi che che riguardano elementi grammaticali. Non più la super cie della lingua ma aspetti profondi: introdurre un nuovo genere grammaticale, alternativo al maschile e al femminile, è molto diverso dall’introdurre un nuovo termine. Nella storia delle lingua non è mai successo che una struttura grammaticale venisse cambiata in maniera consapevole. Il latino aveva tre generi, maschile, femminile e neutro, l’italiano ha perso il neutro ma nessuno lo ha deciso, è stato un mutamento linguistico molto lento. I linguisti dicono che la struttura grammaticale si modi ca in maniera superindividuale, cioè al di sopra del singolo individuo, e irri essa, cioè senza che i parlanti se ne rendano conto. Questo è un tema interessante pensando all’in uenza dell’inglese che si manifesta non solo tramite parole straniere, ma anche con espressioni quali ‘sentiti libero di’ (da ‘feel free’) o ‘il problema con’. Non sono cambiamenti profondi come un nuovo genere gram-maticale, ma neanche super ciali come una singola parola. Sì, possono attirare maggiormente l’attenzione del parlante attento ma non sono poi così profondi: anche un’espressione che adesso consideriamo normale come ‘buono a sapersi’ è arrivata dal francese, ma è un francesismo che si è integrato nell’italiano. Oggi di queste interferenze dall’inglese ce ne sono molte, ma non rimettono in discussione l’impianto della grammatica italiana. Anche a darla vinta a tutte queste costruzioni, non dovremmo riscrivere nessun capitolo della grammatica italiana. Quello che è importante è un principio che io stesso cerco di applicare quando parlo o scrivo: essere consapevoli delle parole e delle espressioni che utilizziamo. Soprattutto, cercare di capire se le utilizziamo per pigrizia oppure se è una scelta deliberata. Perché se è pigrizia, se non si sa perché si è usata quella parola, allora è un brutto segno per la cultura degli italofoni. https://www.pressreader.com/switzerland/laregione/20220216/page/20/textview 3/3